Sicurezza del sangue e plasmaderivati
In Italia il grado di sicurezza degli emocomponenti e dei farmaci derivati del plasma rispetto al rischio di trasmissione di agenti infettivi noti (HIV, virus dell’epatite B, virus dell’epatite C) ha raggiunto, da molti anni, livelli estremamente elevati.
Tale livello di sicurezza è garantito da un sistema basato sulla donazione volontaria, periodica, anonima, responsabile e non remunerata, dall’utilizzo per la qualificazione biologica di test di laboratorio altamente sensibili e da un’accurata selezione medica dei donatori di sangue, volta a escludere i soggetti che per ragioni cliniche o comportamentali sono a rischio.
In virtù dei suddetti interventi, il rischio residuo di contrarre un'infezione a seguito di una trasfusione di sangue è prossimo allo zero, come ampiamente dimostrato dal sistema di sorveglianza nazionale coordinato dal Centro Nazionale Sangue.
Ad oggi, infatti, questo rischio è stimato in: 1,6 casi per milione di donazioni per l’epatite B, 0,1 casi per milione di donazioni per l’epatite C e 0,8 casi per milione di donazioni per l’HIV. A fronte di più di 3 milioni di emocomponenti trasfusi ogni anno (8.349 emocomponenti trasfusi ogni giorno), da oltre dieci anni in Italia non sono state segnalate infezioni post-trasfusionali da HIV, virus dell’epatite B e virus dell’epatite C.[1]
Per garantire la sicurezza sul sangue del donatore vengono determinati:
- il gruppo sanguigno e il suo assetto fenotipico completo,
- gli anticorpi irregolari che potrebbero determinare reazioni trasfusionali,
- l’Antigene Australia per valutare lo stato di portatore o di infezione da virus dell’Epatite B,
- gli Anticorpi anti HCV,
- gli Anticorpi anti HIV 1-2,
- il TPHA per escludere la sifilide,
- le transaminasi, per evidenziare stati di epatopatie ad anticorpi anti HCV negativi
- l’emocromo completo
- Indagini di Biologia Molecolare volte alla diagnosi precoce di un contatto recente (poche settimane) con i virus dell’Epatite B e C e con il virus dell’HIV.
Tutti questi accertamenti vengono ripetuti ad ogni donazione, per garantire che il sangue trasfuso non trasmetta malattie.
Nel caso in cui un donatore risulti positivo a qualcuno di questi accertamenti il sangue donato viene immediatamente eliminato, e si eseguono ulteriori indagini di conferma, il cui scopo ultimo è quello di fornire al donatore un’informazione completa per indirizzarlo, se necessario nei centri più idonei per trattare la propria condizione.
Il donatore periodico, inoltre, viene annualmente sottoposto ad ulteriori accertamenti (indicati dal Legislatore) volti a controllare il suo stato di salute.
Gli emocomponenti labili non possono essere sintetizzati con processi industriali, pertanto oggi, e ancora per anni, la loro disponibilità dipende esclusivamente dalla donazione di sangue, che in Italia è un gesto volontario e gratuito, ma anche un atto sanitario soggetto a rigorose normative regionali, nazionali ed europee per la tutela del ricevente e del donatore.
Le misure adottate per contrastare il rischio infettivo connesso a terapia trasfusionale con emocomponenti labili (emazie concentrate e piastrine) sono contenute nel DM 2 novembre 2015 "Disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti". Nell'ambito di tale norma la gestione del rischio infettivo trasfusionale si declina attraverso una riduzione progressiva del rischio di intercettare un donatore contagioso, che si attua nella fase della selezione dei donatori, al fine di reclutare solo donatori a basso rischio; nella fase di raccolta, con l'adozione di tecniche di antisepsi standardizzate e verificate da parte di personale qualificato, e con la deviazione della prima quota di sangue prelevato, al fine di ridurre il rischio di contaminazione batterica della donazione; nella fase della qualificazione biologica delle donazioni, esecuzione di test di screening per i marcatori dei patogeni più rilevanti in termini epidemiologici con l'obiettivo di escludere donazioni infette; nella fase di lavorazione, con inattivazione dei patogeni, possibile ad oggi solo per i concentrati piastrinici e il plasma ad uso clinico [2].
Da un punto di vista teorico, qualsiasi patogeno per il quale si possa verificare anche solo transitoriamente la presenza nel torrente circolatorio è potenzialmente trasmissibile tramite trasfusione, laddove la donazione di sangue avvenga nella "fase ematica" del patogeno. Oltre ai virus HIV, HBV, HCV cui comunemente si pensa quando si parla di sicurezza del sangue, va considerato che ognuno di noi può essere interessato da batteriemie transitorie in corso di infezioni localizzate anche banali (es.: infezioni urinarie, ascessi dentali), oppure da viremie asintomatiche (West Nile virus) tutte condizioni che, trasferite in un ricevente immunocompromesso (il numero di trasfusioni come terapia di supporto in pazienti oncologici è in costante aumento), possono determinare gravi esiti in termini di morbilità e mortalità.
Esiste quindi un rischio infettivo potenziale di base di ciascuna donazione, il cui valore dipende dalla prevalenza di donatori con patogeni circolanti nel sangue, dalla durata della permanenza del patogeno nel torrente circolatorio del donatore, pur in assenza di sintomi, dalla severità della patologia trasmessa al paziente trasfuso, dalla sopravvivenza del patogeno nei prodotti trasfusionali durante la loro conservazione.
Poiché non è tecnicamente possibile analizzare le donazioni per tutti i patogeni esistenti, e poiché non è possibile "sterilizzare" il sangue (anche se sono in via di sviluppo tecniche di inattivazione dei patogeni che si avvicinano a tale obiettivo), la gestione del rischio infettivo in ambito trasfusionale parte proprio dall'accurata selezione di donatori "a basso rischio", al fine di creare una popolazione di donatori con prevalenza di positività per i patogeni più prossima allo zero.
In pratica il rischio infettivo viene gestito a monte del processo di donazione, sbarrando, temporaneamente o definitivamente, l'accesso alla donazione a quei soggetti che, in base a visita medica e anamnesi, dovessero presentare anche solo la possibilità di avere una infezione trasmissibile per via ematica.
La visita di donazione non è una visita diagnostica, ma una fase di quantificazione del rischio: la domanda a cui deve rispondere il medico addetto alla selezione del donatore, con l'aiuto e la partecipazione attiva e consapevole del donatore, non è "quale malattia ha il donatore?", ma "il donatore che ho davanti ha una probabilità, seppur remota, di albergare patogeni nel suo torrente ematico?"
L'indagine che viene svolta dal medico è pertanto più una indagine epidemiologica che una decisione diagnostica. Essa viene condotta con il supporto di un questionario che indaga sui principali fattori di rischio che dalla letteratura sono stati osservati essere associati a patologie trasmissibili per via ematica, e in particolare HBV – HCV – HIV – Treponema pallidum. Le domande relative ad alcuni aspetti molto personali delle abitudini di vita(rapporti sessuali a rischio, uso di sostanze stupefacenti) non vengono poste con l'intento di violare la riservatezza del donatore, ma per garantire una maggiore sicurezza trasfusionale in quanto l'esecuzione dei test può, in alcuni casi, non essere sufficiente: esse sono estremamente importanti e necessitano di risposte assolutamente veritiere. Il livello di rischio che viene ritenuto accettabile nel contesto della donazione (tutela della salute pubblica) è notevolmente più basso di quello comunemente accettato in situazioni di tutela della salute personale: tipicamente, il rapporto sessuale occasionale, anche se protetto, nel contesto della donazione viene ritenuto un fattore di rischio meritevole di sospensione temporanea (4 mesi) del donatore.
Il nuovo Decreto sulla qualità e sicurezza trasfusionale ha imposto a livello nazionale un unico modello di questionario, la cui capacità di far emergere fattori di rischio infettivo è stata validata con uno studio sperimentale da parte del Ministero della salute. L'importanza della fase della selezione del donatore nel processo di gestione del rischio infettivo trasfusionale è tale da aver fatto prevedere a legislatore la necessità di un percorso di certificazione delle competenze del medico addetto, e di un volume minimo di attività per il mantenimento delle stesse.
I test di screening pre-trasfusionali si differenziano anche notevolmente tra i diversi Paesi sviluppati.
Se infatti è eseguita costantemente la ricerca di agenti infettivi sicuramente responsabili di patologie nell'uomo, a provata trasmissione tramite sangue o derivati, e diffusi in modo ubiquitario quali HIV 1/2, HBV, HCV e Treponema pallidum, per altri patogeni la cui diffusione è limitata a determinate aree geografiche (es. West Nile virus, Malattia di Chagas) i relativi test vengono eseguiti di routine solo nelle aree endemiche.
I mutamenti climatici, con comparsa e diffusione anche in Italia di patologie da artropodi fino a pochi anni fa sconosciute (West Nile virus, Chikungunya), e gli eventi migratori massicci da zone endemiche per lo stato di portatore del T. Cruziie P. Malariae, agenti patogeni della malattia di Chagas e della Malaria, pongono al sistema trasfusionale italiano la sfida di una tempestiva "manutenzione" del sistema di qualificazione biologica delle donazioni.
Paradigmatico rispetto a questo scenario è il caso della Malattia di Chagas causata dal T. Cruzii: gli individui affetti sono abitualmente asintomatici nella fase cronica. Bassi livelli di parassitemia possono essere riscontrati diversi anni dopo l'infezione nel 50% dei pazienti infetti e il parassita può sopravvivere negli emoderivati conservati tra i 4°C e i 22°C e anche resistere a procedure di congelamento e scongelamento [3].
Per il West Nile virus viene prevista l'integrazione del protocollo di qualificazione biologica con il test specifico solo nelle aree e nei periodi in cui la popolazione, e quindi i donatori, sulla base del sistema di sorveglianza ministeriale, hanno un oggettivo rischio di essere portatori.
L'esecuzione in contemporanea di test effettuati con tecniche di biologia molecolare (NAT), che ricercano e amplificano frammenti del genoma dei virus, presente già prima della produzione e rilevabilità degli anticorpi, ha enormemente ridotto la durata della fase finestra, la cui durata media si considera oggi di una settimana per HCV e HIV, di 20 giorni per HBV [4]. Per l'HIV il nuovo DM prescrive l'integrazione del test NAT con la ricerca anche del tipo 2, laddove non ancora eseguito, entro il 2016.
Come illustrato, l'Italia è assolutamente allineata alle good practice europee anche in questa fase della gestione del rischio infettivo da trasfusione di emocomponenti.
I dati della emosorveglianza vengono gestiti a livello nazionale dal Sistema Informativo dei Servizi Trasfusionali (SISTRA), coordinato dal Centro Nazionale Sangue in collaborazione con il Ministero della Salute, le Regioni e le Province Autonome [5], che fornisce dati relativi al numero totale di donatori, suddivisi per fascia di età, sesso e tipologia di donatore (aspirante donatore, donatore alla prima donazione non differita, donatori alla prima donazione differita, donatori periodici).
Periodicamente l'Istituto Superiore di Sanità pubblica rapporti sulle positività riscontrate, correlate alla categoria di appartenenza del donatore ed ai possibili fattori di rischio infettivo, in modo da indirizzare più efficacemente le misure di selezione del donatore [6].
Non bisogna mai dimenticare che la misura unica che in assoluto azzera tutti i rischi trasfusionali, infettivo compreso, è l'evitare la trasfusione, laddove ovviamente possibile.
Pertanto un programma di gestione del rischio trasfusionale non può prescindere dalla adozione e attuazione di azioni di governo dell'utilizzo degli emocomponenti, profilate sullo specifico paziente, note in letteratura come programmi di "patient blood management" (PBM).
1 http://www.centronazionalesangue.it/notizie/comunicato-stampa-006#sthash.KsbEcYSk.dpuf
2. Farrugia A. The mantra of blood safety: time for a new tune? Vox Sang 2004; 86: 1-7.
3. Angheben A, Boix L, Buonfrate D, Gobbi F, Bisoffi Z, Pupella S, Gandini G, Aprili G. Chagas disease and transfusion medicine: a perspective from non-endemic countries. Blood Transfus. 2015 Oct;13(4):540-50. doi: 10.2450/2015.0040-15.
4. G.Tripodi, G.Imberciadori, Transfusion-transmissible infections: diagnosis, prevention and residual risk Blood transfuse.2005,3, 19-30.
5. Legge 21 ottobre 2005 n. 219. Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati. Gazzetta Ufficiale n. 251 del 27/10/2005.
6. Istituto Superiore di Sanità. Malattie trasmissibili con la trasfusione in Italia: sorveglianza epidemiologica dei donatori di sangue. Rapporto 2012. Giuseppina Facco, Vanessa Piccinini, Liviana Catalano, Simonetta Pupella, Giuliano Grazzini. 2014, iii, 68 p. Rapporti ISTISAN 14/4.