Malattie ultrarare: il racconto di Fabiola e il suo viaggio fra i tulipani
Era il 2009, la mia piccolina aveva da poco compiuto un anno e io ero al lavoro. Improvvisamente squillò il telefono, risposi: dall’altra parte mia madre piangeva e mi diceva che forse Giulia era morta, non respirava più. Il mio cuore si fermò. Il mio cervello non riusciva a capire il senso di quelle parole. La corsa in ospedale: Giulia aveva avuto una crisi convulsiva. Di fronte al nostro smarrimento le rassicurazioni dei medici: Una convulsione non vuol dire niente, l’ECG non rivela nulla…
Passano cinque mesi, nuova convulsione, nuova corsa in ospedale, nuove rassicurazioni. Dopo altri mesi trascorsi Giulia ha un’altra crisi di notte, l’ambulanza non voleva neanche portarla in ospedale. Arrivati lì, non c’erano posti. Io e mio marito decidemmo così di andare al Policlinico di Siena, era il febbraio 2010, l’elettroencefalogramma di Giulia era alteratissimo, contrariamente a quanto attestato durante i ricoveri ospedalieri in Puglia e finalmente avemmo la prima terapia anticonvulsiva. Grazie ai medici del Policlinico Le Scotte di Siena, fu l’inizio di un percorso. Ma solo l’inizio. Le crisi non si fermarono, anzi, ne aveva di diverso tipo. I farmaci non funzionavano e ci venne proposta una terapia sperimentale. Noi scegliemmo di chiedere consulti a Pavia e Milano. L’incontro con il professor Pierangelo Veggiotti, presso la Fondazione Casimiro Mondino di Pavia, fu una svolta in questo percorso: un bravissimo medico, una persona schietta, umana, empatica. Fu lui a porre fine alle crisi di Giulia, sia tonico-cloniche che miocloniche negative, e lo fece modificando la formulazione del farmaco che già assumeva. Sia a Pavia che poi a Milano furono svolte approfondite indagini genetiche che hanno portato alla diagnosi nel novembre 2019. Giulia aveva 11 anni.
La diagnosi non ha cambiato la vita di Giulia, la terapia l’aveva fatto. Ma la diagnosi ti lascia con un nome in mano: Sindrome Schuurs–Hoeijmakers. Un nome difficilissimo, una malattia ultrarara che ti fa sentire molto sola.
Con quel nome in mano abbiamo iniziato a fare ricerche e siamo approdati a un gruppo Facebook americano “Pacs1” e alla PACS1 Syndrome Research Foundation. Incontrare altri genitori nella stessa condizione è stato determinante, è stato come trovare le risposte a tutte le domande sorte negli anni precedenti. Quando li ringraziai per l’accoglienza, uno di loro mi inviò il passo di un libro che diceva più o meno così: Quando decidi di avere un figlio è come se decidessi di fare un viaggio in Italia: sogni i posti da visitare, Roma, Venezia, Firenze, progetti le tappe del percorso. Poi fai le valigie, parti… e la hostess ti dice Benvenuto in Olanda. Ma come? Io volevo andare in Italia. L’Olanda ha i tulipani, ha bellissime città e impari ad amarla, anzi la ami più di te stessa, ma il tuo sogno rimane sempre l’Italia. Ecco, è proprio questo che abbiamo provato. E che continuiamo a provare.
Questa sindrome, detta anche Pacs1, è una malattia genetica ultrarara. Meno di 200 casi in tutto il mondo, in Italia siamo circa nove famiglie ad avere la diagnosi. Molto spesso i tratti vengono confusi con quelli di altre malattie come l’epilessia, l’autismo, il ritardo cognitivo. Non ne conosciamo l’evoluzione, non ci sono dati, non sappiamo cosa accada nel lungo periodo. Colpisce in maniera differente. Convulsioni, ritardi cognitivi, difficoltà motorie e verbali, disturbi alla vista, gastrointestinali, problemi comportamentali, difficoltà di alimentazione. Le persone con Pacs1 hanno però dei tratti somatici comuni nel viso: occhi un po’ calanti, naso a patata e labbra sottili. Ho visto una bambina americana che sembrava proprio Giulia, impressionante! Eliminate le convulsioni, la carenza più grave in mia figlia è a livello cognitivo/comportamentale. Per questo abbiamo avviato la terapia ABA (Applied Behavioral Analysis, analisi applicata del comportamento). Ha un forte stato d’ansia che la porta ad avere paura di tutto, anche del campanello che suona.
Per cinque anni siamo stati seguiti dalla psicologa dott.ssa Annachiara Rosato che ci ha aiutato moltissimo, ci ha spiegato come aiutare Giulia, come modificare i nostri comportamenti al fine di modificare i suoi. L’abbiamo seguita tutti, noi genitori e le mie figlie, Francesca e Antonella, i due angeli custodi di Giulia. L’esperienza della nostra famiglia ha inciso molto su di loro, hanno una sensibilità particolare, una studia psicologia l’altra scienze dell’educazione. Ogni parte del percorso è stata preziosa, però l’isolamento da Covid ha influito gravemente sulla bambina e ora stiamo ricominciando da capo.
Ci muoviamo per come riusciamo a fare, l’Asl non ci ha mai preso in carico. Il supporto sanitario e riabilitativo manca per queste famiglie. Non c’è un centro di riferimento in Italia che si occupi della diagnosi e del supporto terapeutico/riabilitativo per questa malattia. Le famiglie dei bambini Pacs1 si sentono perse, abbiamo bisogno di punti di riferimento. Siamo sempre alla ricerca di informazioni nuove, di passi in avanti nella ricerca, ci confrontiamo, proviamo ciò che possiamo per migliorare l’autonomia dei nostri figli e il loro rapporto con il mondo, è questo il nostro obiettivo. Ma non tutte le famiglie sono in condizione di fare questo, a volte non possono economicamente, a volte non sanno a chi rivolgersi. La sanità non sostiene e non offre alcun supporto riabilitativo di cui i nostri figli hanno costantemente bisogno, in Italia non ci sono progetti di ricerca sulla Sindrome Pacs1, la scuola e la società, nonostante i proclami e le dichiarazioni di intenti e i principi di legge, non hanno le competenze necessarie per aiutare questi bambini e ragazzi, anzi abbiamo paura che il passare del tempo renderà i nostri figli sempre più invisibili e noi genitori sempre più soli.
La nostra esperienza ha tratti comuni a quelli delle altre famiglie che vivono questa malattia, anche per questo è nata l’associazione Pac1 Italia, fondata dal coraggio e dalla forza di volontà di un genitore di Ferrara, ma che riunisce la forza delle mamme e dei papà italiani e che ci fa sentire vicini agli altri genitori che in tutto il mondo stanno lottando per dare voce ai propri figli.
C’è bisogno di confrontarsi, di far conoscere questa malattia, di sensibilizzare, di stimolare alla ricerca. C’è bisogno di non lasciare solo nessuno.
Data di pubblicazione:
27/11/2021
Ultimo aggiornamento:
27/11/2021
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