La diagnosi è uno schiaffo fortissimo
È stata una gravidanza desiderata, serena, che ha dato alla luce un bambino impegnativo. Molto vivace, mai fermo e sempre propenso a cadere o inciampare. Aveva due o tre anni e il Pronto soccorso era per noi un luogo piuttosto frequentato. All’asilo nido ci dicevano che apriva sempre le porte e andava in giro. Questo ci preoccupava ma non più di tanto. La maestra della scuola dell’infanzia ha poi notato dei problemi a livello attentivo: noi non abbiamo voltato la testa dall’altra parte, la nostra figlia più grande ha Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e quindi non eravamo estranei a questo mondo. Al terzo anno d’asilo Marco aveva già il sostegno. Non riusciva a colorare nel cerchio e quando andavamo a prenderlo lo trovavamo a correre fra i banchi ma d’altra parte aveva rinunciato al pannolino piuttosto presto e aveva una proprietà di linguaggio consona alla sua età.
Ha iniziato precocemente a essere seguito, abbiamo fatto tutto quello che ci veniva proposto, dalla Asl e presso un’associazione di Taranto le cui figure professionali venivano a casa per la riabilitazione. Marco è arrivato alle scuole elementari che sapeva già leggere e scrivere. Dopo questo traguardo, abbiamo notato che ciò che veniva offerto dal territorio, solo un’ora a settimana, non era sufficiente e che l’associazione che non faceva più terapia domiciliare lo seguiva solo in attività collettive e non individuali, come quelle da noi richieste e retribuite. Così siamo andati oltre.
Tramite un collega, siamo arrivati a Gagliano del Capo, dalla dottoressa Eleonora Deleo. È iniziato così un percorso di terapia ABA (Applied Behavioral Analysis, analisi applicata del comportamento). Sebbene sia stato escluso il sospetto di autismo, si è rilevato infatti che la terapia comportamentale è efficace per la sua condizione: deficit dell’attenzione e disprassia lo portano ad avere difficoltà nell’apprendimento e grossi limiti nella coordinazione e nella motricità fine. Non è autonomo nel farsi una doccia, nel lavarsi e cambiarsi, impugna la forchetta in modo differente, fa cadere l’acqua quando la versa nel bicchiere. Occorre sempre seguirlo perché si perde facilmente, gli è difficile completare un’attività anche perché, per quanto semplice possa essere, a lui risulta molto stancante. Così da due anni e mezzo si lavora per obiettivi. Le psicopedagogiste che lo seguono circa una volta al mese trascorrono con lui una giornata intera. Lo osservano e fissano degli obiettivi. Nel corso del mese si fanno sessioni, tre volte a settimana, con una determinata finalità: mettersi i calzini, allacciarsi le scarpe, attività della vita quotidiana di cui è importante acquisire la competenza. Quando un obiettivo è raggiunto, se ne fissa un altro.
Nel corso di queste sessioni hanno però notato che, anche per competenze già acquisiste, Marco ha dei black out. Improvvisamente assente, perde quanto acquisito. Così a volte devono ricominciare da capo: per recuperare la competenza su cui si è lavorato magari per due settimane impiega qualche giorno. Questo ha allarmato la dottoressa Deleo. È grazie a lei che siamo andati a fondo: risonanza magnetica, elettroencefalogramma, visita specialistica e indagini genetiche. Queste ultime, in provincia di Lecce, hanno dato una diagnosi precisa: delezione del cromosoma 2. Gli mancano 54 geni, ed è questo difetto cromosomico che lo faceva inciampare da piccolo, che gli rende difficile vestirsi da solo, che disturba la sua attenzione, che ostacola la sua socializzazione. La diagnosi è stata uno schiaffo fortissimo. Quello che più ci preoccupa è che questa malattia rarissima può portare a una paraplegia spastica nella prima o nella seconda decade. Marco ha 11 anni e questo pensiero ci terrorizza, stiamo cercando di capire se la diagnostica strumentale può aiutarci a escludere questa eventualità. C’è un danno neurologico a livello centrale e visto che ci hanno detto che finora solo tre famiglie hanno dato accordo a pubblicare i dati, non ci sono informazioni scientifiche: non si può fare un confronto, non si conosce l’evoluzione della malattia.
E allora, ancora una volta, la sua risorsa siamo noi. Noi che non ci siamo mai fermati, noi che abbiamo cambiato anche il nostro ruolo professionale pur di riuscire a incastrare gli orari dell’uno e dell’altra per essere sempre presenti, noi che organizziamo merende con gli amici per aiutarlo a socializzare, che lo abbiamo iscritto agli scout per abituarlo meglio alle regole, noi che scriviamo al Provveditore affinché il suo sostegno nella scuola media non sia una mattina con l’IPad a fare giochi e guardare video su YouTube, noi che abbiamo sempre seguito il nostro istinto, cambiando asilo, cambiando terapie, investendo tempo e denaro, molto. Noi che ci siamo evoluti. A un mese e mezzo da questo schiaffo fortissimo, guardiamo avanti, cerchiamo di non investire tempo ed energie in qualcosa che ci fa paura ma potrebbe non verificarsi, investiamo in ciò che possiamo fare affinché lui stia meglio. Non abbiamo trasmesso noi questa anomalia genetica, e stiamo indagando se anche la nostra prima figlia, ormai 18enne la abbia. Ma di sicuro gli trasmettiamo l’importanza di non voltare lo sguardo, anzi, di tenerlo puntato al prossimo obiettivo.
Data di pubblicazione:
29/11/2021
Ultimo aggiornamento:
29/11/2021
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