Una speranza al gusto fragola
Quando Roberta era piccola, la malattia si è manifestata perché i muscoli avevano poca forza. Adesso è cresciuta e la forza è la stessa di allora. Fa questo l’atrofia muscolare spinale (SMA), patologia rara che determina la degenerazione dei motoneuroni, destinati al controllo dei movimenti dei muscoli volontari.
“A noi hanno sempre detto: È come se avessi una videocassetta – racconta papà Fabio – dove puoi schiacciare play ma non hai il tasto per riavvolgere il nastro e tornare indietro. Hai la possibilità di migliorare, se hai un farmaco, o di fermare l’avanzamento della malattia. Recuperare quello che si è perso, invece, è difficilissimo”.
La SMA di Roberta ha mostrato i suoi primi sintomi quando non aveva ancora un anno. “Notavamo qualche difficoltà in lei e ci appariva strano, in confronto allo sviluppo dei suoi due fratelli maggiori. Faceva qualche passetto ma incerto e vicino al muro, riusciva a stare seduta ma se qualcuno la toccava cadeva subito, non riusciva a tenere la posizione. Abbiamo dunque portato la bimba a fare una visita ortopedica: tutto viaggiava sull’ipotesi di problemi di deambulazione. In realtà l’ortopedico ha subito segnalato che si trattasse di un problema muscolare, dovevamo quindi andare da un neurologo. La dottoressa Annicchiarico allora ci ha messo in contatto con la dottoressa La Selva e lei ci ha suggerito di andare a Milano dove sono stati fatti controlli approfonditi, compreso un esame genetico. Così abbiamo avuto la diagnosi in pochi mesi, è stata una fortuna, e abbiamo conosciuto il nome di chi dovessimo combattere. È iniziato un percorso, anzitutto conoscendo il Sapre (Settore di abilitazione precoce dei genitori), centro del Policlinico di Milano coordinato dalla dottoressa Chiara Mastella che si occupa di formare i genitori alla gestione quotidiana della SMA e dei suoi ausili”. Per esempio, c’è la macchina della tosse che aiuta a espellere i muchi, è necessaria perché la debolezza dei muscoli respiratori nella SMA rende la tosse inefficace e aumenta il rischio di infezioni. C’è il pallone AMBU (Auxiliary Manual Breathing Unit) o pallone rianimatore: è uno strumento utilizzato per il supporto dell’attività respiratoria e per la manovra rianimatoria in caso di emergenza. E ci sono i tutori e i busti per tenere il tronco stabile in posizione eretta o seduta. “Io li odiavo i tutori – dice ferma Roberta, lasciando intendere in pochissime parole il carico di fatica e dolore che portano con sé – li odiavo letteralmente”. Tranne uno, quello realizzato dal papà con la sua conoscenza dei materiali, il suo studio e i collaudi di Roberta che hanno permesso di perfezionare il prototipo fino al brevetto. Sono importanti, i tutori, perché se la schiena cede può causare problemi respiratori e cardiaci. La colonna di Roberta ha avuto peggioramenti continui fino a cedere gravemente, a quel punto è stato necessario un intervento nel 2021, per mano del dottor Colombo dell’ospedale Buzzi di Milano.
I primi anni dunque sono stati questi. Anni di conoscenza, di formazione, di ausili. Anni in cui si è tentato in ogni modo di capire e di dare supporto a Roberta, per garantirle una qualità di vita più alta possibile con gli strumenti a disposizione. Poi, quattro anni fa, è arrivato il farmaco.
“La terapia dello Spinraza prevede l’infusione del medicinale tramite iniezione lombare. Roberta ha accolto l’arrivo del farmaco con grandissimo entusiasmo, l’ha visto come una liberazione, finalmente aveva un’arma per combattere il suo nemico. Ha avuto un crollo, forse il suo unico crollo psicologico, quando abbiamo provato con le infusioni nel centro Medea di Brindisi e non si riusciva per via dei suoi problemi alla schiena. Lo ha vissuto come una sconfitta. Grazie al suggerimento del dottor Trabacca, poi, ci siamo recati a Roma dove questa somministrazione è più in uso e sono specializzati. All’inizio le infusioni erano frequenti, poi ogni quattro mesi. Non era semplice e c’era da affrontare il viaggio a Roma, la sedazione, eppure Roberta era felice di farlo perché i miglioramenti erano evidenti. Se prima della terapia prendeva un peso massimo di 250 grammi, dopo l’ottava somministrazione riusciva a sollevare un chilogrammo. Era una grande conquista”.
Oltre l’ottava però non si è potuti andare. L’aggravamento delle condizioni della colonna vertebrale rendevano difficile l’accesso e dopo l’ultima infusione Roberta aveva avuto effetti collaterali spiacevoli: non sentiva più le gambe, lamentava forti mal di testa e non sentiva gli stimoli fisiologici. Così i genitori hanno detto stop. “Ci siamo detti: Aspettiamo. Vediamo se arriva la possibilità del farmaco orale”.
E questa possibilità, dopo circa un anno, è arrivata. Il Risdiplam è il primo e attualmente unico farmaco che può essere assunto per via orale: autorizzato dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) il 26 gennaio scorso, con immissione in commercio e rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale (SSN), come Spinraza consente il ripristino della proteina chiamata “fattore di sopravvivenza dei motoneuroni” (Survival motor neuron – SMN) e riduce così i sintomi della malattia, rallentandone l’avanzamento. “Spero di riuscire a recuperare i progressi fatti con le infusioni” ha commentato Roberta, accogliendo con gioia enorme il nuovo farmaco. Dal fermo della terapia infatti avevano osservato che si stanca prima, non solleva più i pesi di quel periodo, non riesce nelle piccole cose che aveva conquistato.
“Spesso chiedevamo ai medici a che punto fossero le sperimentazioni – ricorda mamma Lucia – Una volta il medico rispose con una domanda: Cosa vi aspettate dal farmaco? Io dissi: Certo non mi aspetto che mia figlia si metta in piedi e faccia i 100 metri ma che fermi la malattia, che possa scrivere, mangiare, bere da sola, che non perda le funzionalità che ha adesso”.
Adesso Roberta mangia da sola, scrive, si lava i denti in autonomia. Per altre attività come lavarsi, vestirsi e muoversi ha bisogno di aiuto. E anche la notte, per via di un’anca lussata, prova molto dolore se resta nella stessa posizione, quindi i suoi genitori si alzano per girarla nel letto e farla riposare meglio. “Mi rendo conto tuttavia che siamo fortunati perché la malattia non è così invalidante come in altri casi, ho visto genitori che non possono neanche allontanarsi per andare in bagno. E poi Roberta è molto collaborativa – dice fiera la sua mamma - Anche i suoi fratelli, sia quelli maggiori sia il piccolino, le danno una mano: se ha bisogno di un bicchiere d’acqua, se le è caduta la matita. Le vanno sempre incontro, e lo fanno con naturalezza. Io non ho mai trasmesso loro il messaggio che debbano occuparsi della sorella. Loro devono vivere la loro vita e la sorella ne fa parte, ma questa condizione non deve limitare le loro possibilità. E neanche quelle di Roberta che infatti vive la scuola sia nell’aspetto divertente dello stare con i compagni, sia nell’aspetto serio, per lei forse un po’ più serio, perché impegnarsi vuol dire costruirsi le possibilità professionali del futuro. Per fortuna la scuola ci è sempre venuta incontro, sia alle elementari che alle medie abbiamo trovato insegnanti attenti. E quando c’è stato bisogno del banco ergonomico l’istituto l’ha procurato e quando dopo l’intervento chirurgico è stato necessario il sollevatore per il bagno il Comune si è adoperato per fornirlo. Questo clima le consente di vivere la scuola serenamente. E lei ci tiene molto, non ammette che qualcuno metta mano su un suo quaderno. Quando è arrivato il farmaco ha detto: Spero mi faccia continuare a fare i compiti da sola e guidarmi la carrozzina elettrica”.
“La carrozzina di Roberta è praticamente un SUV” scherza il papà ma Roberta non manca di sottolineare quanto sia importante, oltre l’abbattimento delle barriere architettoniche, anche il rispetto degli spazi dedicati alla disabilità: “Bisogna far capire alla gente che non deve parcheggiare davanti agli scivoli, noi non possiamo aspettare che loro tornino per passare. Io ho una carrozzina che può scendere dal marciapiede ma quando è troppo alto? E soprattutto, chi ha una carrozzina diversa dalla mia? Non è giusto”. La determinazione nel combattere la impara dai suoi genitori e in particolare dalla mamma: “Molte volte dobbiamo lottare, puntare i piedi, anche quando siamo stanchi, per ottenere i suoi diritti. Anche per il sollevatore, per esempio, non è stato affatto facile ma è necessaria la pazienza di non arrendersi mai. Una volta io stavo discutendo con un operatore perché Roberta non poteva scendere con i suoi compagni. Lei mi disse: Dai, mamma, perché ti arrabbi? Le risposi: Non mi sto arrabbiando, io sto lottando. Un giorno lo dovrai fare anche tu”.
Il farmaco per via orale è “una finestra”, uno spiraglio rispetto a una malattia che in quanto degenerativa “ti fa pensare che puoi peggiorare, che non sei invincibile”. Le parole di papà Fabio esprimono bene la condizione di una patologia che non solo ha sintomi importanti ma che ti lascia l’incognita del suo progredire. Adesso Roberta può di nuovo combatterla. Con uno sciroppo. I primi giorni c’è stato il ricovero per monitorare eventuali reazioni. Ora lo prende a casa, ogni mattina. “Io ci trovo delle speranze”, dice la voce dolce di Roberta che ti spiazza con la tenerezza e la verità dei suoi anni: “Però prenderlo tutti i giorni è un po’ troppo! Non è che proprio abbia un brutto sapore ma ha un sapore forte all’inizio, poi ha quel retrogusto di antibiotico alla fragola. Io odio l’antibiotico alla fragola, certo quello è peggio perché è pure granuloso, però quando ho saputo che il nuovo farmaco era alla fragola non sono stata contenta. Comunque, si può fare”.
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Foto: Aldo Soligno dal progetto Rare Lives!
Data di pubblicazione:
11/04/2022
Ultimo aggiornamento:
19/04/2022
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